Nella polvere grigia, nella rabbia nera,
nella strada piena, nella follia fusa,
nella folla stretta nel corpo bianco,
nella televisione accesa nella casa vuota,
nella fottuta domenica pomeriggio
che mi assicura sempre al mio dolore,
spengo l’ultima residua voglia di rivedermi
cianotico, grasso, deforme,
nelle vetrate di uno specchio che non sia il mio.
Mi bastano appena
una porta di legno e un tavolo bianco
su cui infrango pugni e tentazioni
di essere io quel mostro,
di chiudere io quel cerchio
troppo storto, troppo grande
perché possa amarlo appieno,
e dimenticarlo del tutto.
Ogni preghiera è una bestemmia
come c’è il male in un sorriso
come il cancro che divora un volto infante
come la bottiglia a cui mi arrendo
per non dover più respirare.
Lascia aperta la porta, tu che esci
lascia entrare quel suono,
subdolo accattivante in pose plastiche
da mercante,
viscido ripugnante infido e sporco
delirante,
lo senti quel suono
lo sento quel suono
è l’uomo che annienta l’uomo.